11 giugno 2021 - 18:20

Dipendenza dalla Rete: più in pericolo chi è in ansia per il contagio

Stare eternamente connessi è una delle abitudini che più spesso si trasforma in dipendenza e nell’ultimo anno, tra smartworking e Dad, il pericolo è cresciuto

di Elena Meli

Dipendenza dalla Rete: più in pericolo chi è in ansia per il contagio Gettyimages
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Non sono soltanto le sostanze ad «agganciarci», anche un comportamento può diventare qualcosa di cui non si riesce a fare a meno perché dà piacere e pian piano diventa l’unico pensiero della giornata. Stare attaccati a Internet è una delle abitudini che più spesso si trasforma in dipendenza e nell’ultimo anno il pericolo è cresciuto: costretti a casa e con il web come unico contatto con il mondo, dalle videoconferenze per lavorare da remoto alla didattica a distanza, tanti hanno aumentato il numero di ore passate davanti a uno schermo e in chi ha più paura del contagio questo è diventato una sorta di moltiplicatore del rischio di abuso della tecnologia.

Ricerca italiana

Lo suggerisce una ricerca italiana pubblicata ad aprile sul Journal of Affective Disorders Reports, secondo cui il timore del virus è proprio ciò che più modula la correlazione fra le difficoltà personali e la comparsa di un disturbo nell’utilizzo di Internet: non tutti insomma cadono nella trappola della dipendenza, ma succede più facilmente a chi viene sopraffatto dall’ansia da pandemia. Altri fattori di rischio, stando a dati raccolti in Cina su oltre 20mila persone, sarebbero la carenza di rapporti sociali e l’uso dei videogiochi, che sono molto coinvolgenti e trattengono online più di qualsiasi altra attività.

Effetto paradosso

Tuttavia l’equivalenza fra la quantità di ore passate sul web e la comparsa di dipendenza non è immediata, come conferma Daniele La Barbera, responsabile della sezione di Psicotecnologie e Clinica dei Nuovi Media della Società Italiana di Psichiatria: «A maggior ragione oggi, che viviamo molta parte della quotidianità online, è diventato difficile separare l’utilizzo funzionale del virtuale con quello ludico, più a rischio di dipendenza. Per alcuni dover stare tutto il giorno al computer può addirittura generare l’effetto paradosso di portare al rifiuto della rete, perché le ore sul web vengono subite con fastidio: ciò che conta, quindi, per capire se si stia instaurando una dipendenza patologica dallo smartphone, dai social, da Internet è valutare quanto l’esperienza stia diventando prioritaria nelle dinamiche mentali. Se il web è il primo pensiero al mattino, se non si riesce a farne a meno e ci si sente vincolati e legati emotivamente più alla vita online che a quella reale, si sta scivolando in un utilizzo patologico».

Adulti nella «rete»

Vietato credere che gli adulti siano al sicuro: la dipendenza da internet colpisce anche persone di mezza età che spesso, scoprendo i social, ne vengono catturati come e più dei ragazzini. Ad accorgersi che qualcosa non va di solito sono i familiari e i segni vanno cercati sempre nel cambiamento dei comportamenti: tutto ciò che non è stare connessi perde d’importanza, i rapporti con gli altri si rarefanno, se per qualche motivo non si ha accesso alla rete compaiono ansia, irrequietezza, nervosismo. Chi è finito in una relazione patologica con smartphone e computer in genere non riconosce subito il suo disagio, ma sviluppare la consapevolezza del problema è il primo, indispensabile passo per poterlo risolvere, come specifica La Barbera: «Se chi è dipendente dalla tecnologia non sente che c’è una disfunzione nel suo comportamento qualsiasi intervento per uscirne è destinato a fallire. Perché il paziente lo ammetta però non bisogna arrivare allo scontro, al contrario è bene ridurre i conflitti: se per esempio un genitore toglie o minaccia di togliere il telefonino al figlio, questo tenderà a mettersi sulla difensiva e a non ammettere il problema. Meglio parlarne e cercare di comprendere l’esperienza del ragazzo, per esempio provando a capire che cosa ci sia di così interessante nei giochi di ruolo che assorbono tanti grazie alla loro capacità di coinvolgimento e ingaggio: soprattutto se si interviene presto, a volte basta questo per ridimensionare l’uso patologico. Inoltre, soprattutto quando a essere dipendente dalla tecnologia è un giovanissimo, il disturbo può estinguersi da solo nell’arco di qualche mese».

Quando serve una terapia

Se però la situazione non cambia nonostante i tentativi di dialogo, è bene non aspettare troppo e optare per una terapia psicologica strutturata perché comunque prima si interviene, meglio è. «L’essenziale è rivolgersi a un terapeuta che abbia una buona conoscenza del mondo online che ha catturato il paziente, da TikTok a Instagram, per parlare il suo stesso linguaggio e non essere screditato come interlocutore: se ciò accade, viene meno la possibilità di trovare una relazione proficua e di uscire dalla dipendenza grazie alla terapia», conclude La Barbera.

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