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Politica

Lo sci prima tensione nel governo

getty/ansa
getty/ansa 

Il titolo della protesta leghista lo scrive Claudio Borghi poco prima delle otto di sera. Su Twitter, in maiuscolo: “Si comincia MALISSIMO”. L’inizio, a poco più di 24 ore dal giuramento, è quello del nuovo governo. È scorrendo lungo il tweet che si scoprono i destinatari dell’insurrezione. In un’immagine è riportata la dichiarazione congiunta di Massimiliano Romeo e Riccardo Molinari. Non due qualsiasi, ma i capigruppo del Carroccio in Parlamento: “Non si può continuare con il metodo Conte, annuncio la domenica e chiusura il lunedì, ad opera del trio Ricciardi Arcuri Speranza. È necessario un cambio di squadra a livello tecnico”. Nel mirino la decisione del ministro della Salute di sospendere le attività sciistiche fino al 5 marzo. Dovevano ripartire nelle Regioni gialle domani, 15 febbraio. Gli impianti, invece, resteranno ancora chiusi. 

Lo sci, a catena la gestione dell’emergenza Covid, diventano il primo terreno di fibrillazione dentro un esecutivo che non ha ancora terminato il suo iter istituzionale (il voto di fiducia al Senato e alla Camera è in programma rispettivamente mercoledì e giovedì). E già deve fare i conti con altri conti, quelli lasciati in sospeso dal governo Conte. La Lega era all’opposizione, ora è dentro al governo, con tre ministri. E due di questi - Giancarlo Giorgetti allo Sviluppo economico e Massimo Garavaglia al Turismo - in dicasteri che impattano con un peso specifico importante nelle questioni economiche sollevate dal virus. Possono dire la loro, e in maniera significativa, su come portare avanti le decisioni sulle restrizioni e sulle riaperture. E anche su quelle relative ai ristori. Tra l’altro la questione dello sci tira in ballo principalmente le montagne del Nord, il core business della Lega. Il malumore monta per questo anche tra i governatori leghisti. Per il lombardo Attilio Fontana ”è un colpo gravissimo al settore”. Dal Friuli Venezia-Giulia, Massimiliano Fedriga mette l’accento sulla penalizzazione per imprese e lavoratori. Luca Zaia, dal Veneto, parla di una decisione che arriva “troppo tardi”. Ma la protesta si fa forte anche tra i governatori non leghisti. Sotto accusa è il metodo, cioè la decisione di avvisare le Regioni all’ultimo minuto utile. Stefano Bonaccini, che presiede la Conferenza delle Regioni, parla a nome di tutti, esprimendo “stupore e sconcerto”. 

La scelta del Carroccio di esporsi subito, di petto, con i big, contro la decisione di Speranza, manda in frantumi l’immagine del Consiglio dei ministri di poche ore prima, quello dell’appello all’unità lanciato da Mario Draghi. Il premier non interviene pubblicamente nel dibattito. Resta impegnato tutto il giorno nella messa punto del discorso per la fiducia alle Camere. Voto che arriverà a metà settimana, ma non perché ci sono problemi. Semplicemente, come prevede l’articolo 94 della Costituzione, il governo ha dieci giorni di tempo dalla sua formazione per presentarsi in Parlamento. Nel frattempo è già operativo e può quindi assumere decisioni.

Ma al silenzio di Draghi si oppone il rumore della Lega. Tutto inizia intorno all’ora di pranzo quando rimbalza sulle agenzie di stampa il parere che il Comitato tecnico scientifico ha fornito alla richiesta avanzata da Speranza per rivalutare “la sussistenza dei presupposti per la riapertura” degli impianti. Il parere degli esperti: alla luce delle “mutate condizioni epidemiologiche” dovute “alla diffusa circolazione delle varianti virali” del virus, “allo stato attuale non appaiono sussistenti le condizioni per ulteriori rilasci delle misure contenitive attuali, incluse quelle previste per il settore sciistico amatoriale”. Le varianti preoccupano, suggeriscono prudenza estrema. Il Cts rimanda “al decisore politico la valutazione relativa all’adozione di eventuali misure più rigorose”.

Perché il Cts ha cambiato idea rispetto a dieci giorni fa, quando ha dato il via libera allo sci in zona gialla seppure con una serie di limitazioni, lo spiegano gli stessi esperti. La ragione è il quadro emerso da uno studio condotto dall’Istituto superiore di sanità, dal ministero della Salute e dalla Fondazione Bruno Kessler sulla diffusione delle varianti del virus in Italia. Le varianti - dice questo studio - sono presenti nell′88% delle 16 Regioni e province autonome prese in esame. Con percentuali che arrivano fino al 59 per cento. La raccomandazione dello studio è di intervenire per contenere e rallentare la diffusione delle varianti, “rafforzando e innalzando le misure in tutto il Paese e modulandole ulteriormente laddove più elevata è la circolazione, inibendo in ogni caso ulteriori rilasci delle attuali misure in atto”. Quasi contemporaneamente, Walter Ricciardi, consigliere del ministro della Salute, annuncia all’Ansa che chiederà a Speranza un lockdown totale, in tutta Italia e immediato, di durata limitata. Tutto chiuso, anche le scuole. 

Le raccomandazioni del Cts e la richiesta di Ricciardi fanno esplodere la Lega. Matteo Salvini, a Mezz’ora in più su Rai3, attacca il consulente di Speranza: “Non ci sta che un consigliere una domenica mattina si alzi e senza dire nulla al suo ministro o al presidente del Consiglio parli di una chiusura totale. Io credo che la gente più lavora e meno parla e meglio è”. E poi ancora: “Metti attorno a un tavolo gli esperti e chi convince di più sulla base dei numeri e dei dati, allora ha ragione. Ma non ne possiamo più di aprire e chiudere”. Quando alle sette di sera Speranza firma il provvedimento che vieta lo svolgimento delle attività sciistiche amatoriali fino al 5 marzo (data di scadenza del Dpcm del 14 gennaio), la protesta della Lega monta in maniera esponenziale. 

La rassicurazione dello stesso ministero della Salute su “ristori adeguati” non basta. Sono Giorgetti e Garavaglia ad alzare la posta e a farne una questione politica, oltre che economica: “La montagna, finora dimenticata, merita rispetto e attenzione: che risposte si danno e in che tempi al documento predisposto dalle Regioni? Gli indennizzi per la montagna devono avere la priorità assoluta, quando si reca un danno, il danno va indennizzato”. La Lega chiede di dare priorità allo sci e di farlo subito, con il prossimo decreto. E già rifà i calcoli del vecchio governo, che aveva quantificato gli aiuti in 4,5 miliardi. Servono più soldi. E il pressing sulla Lega carambola anche sulla scrivania di Draghi. Il premier proprio in queste ore sta ragionando su cosa fare del decreto Ristori 5 da 32 miliardi che era stato abbozzato, quantomeno sul lato delle risorse, dal Tesoro guidato da Roberto Gualtieri. 

La questione si allarga. L’Anief, che rappresenta tutti gli esercenti delle funivie, sbotta: “Ci sentiamo presi in giro di fronte a tutto quello che abbiamo speso per l’apertura di domani, in vista della quale abbiamo assunto altro personale. Dopo il 3 dicembre, il 7 gennaio, il 18 gennaio e il 15 febbraio, adesso la proroga al 5 marzo. Ormai la stagione è saltata. Siamo il settore più penalizzato: da 12 mesi senza un euro di incasso ma con spese e stipendi da pagare. Gli operatori della  Valtellina e quelli della Valchiavenna erano pronti anche loro a ripartire con gli impianti da sci con una capienza dal 30 per cento. “Non è possibile venire a sapere la domenica pomeriggio che per il lunedì mattina è tutto cambiato, dice Michela Calvi dell’hotel Stelvio di Bormio. Lo sci scuote il Governo. Ma ricorda anche allo stesso Governo che l’emergenza ha bisogno di risposte. Quelle promesse dal governo Conte e che sono state però lasciate in sospeso.

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