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Lo stress da pandemia, ecco le dritte per affrontarlo

La paura di ogni contatto. Un profluvio di gel e mascherine. E poi l’ansia e l’attesa. Per tutto. Per l’esito del tampone, per il bollettino giornaliero dei positivi, per il balletto delle scuole chiuse e riaperte. Per lo smart working che ci fa sentire alienati in casa nostra. Per i nuovi decreti Dpcm e la paura di finire in “zona rossa”. E ora anche per il cenone di Natale che, “vedrai, gira e rigira, si farà solo in videochiamata”. Auguri, ne riparliamo nel 2021.

Stress da pandemia: cos’è

Il coronavirus ci angoscia sempre di più. Se solo otto mesi fa urlavamo increduli ma fiduciosi dal balcone “Andrà tutto bene”, adesso il senso di incertezza del presente è un limbo nel quale ci ritroviamo tutti sospesi, senza parlare del futuro che non riusciamo ancora a progettare. Per l’Organizzazione mondiale della Sanità tutto questo ha un nome: stress da pandemia. O “pandemic fatigue”. Una vera e propria fatica mentale dovuta al prolungarsi dell’emergenza. Che comporta stanchezza e sfinimento. Irritabilità, disturbi del sonno e dell’umore. E che, sempre secondo una ricerca europea dell’Oms, colpisce sei persone su dieci.

Stanchezza e sfinimento sono i sintomi dello stress da pandemia

Siamo diventati tutti vulnerabili per colpa dello stress da pandemia

A conferma della sindrome ci sono i dati. È aumentato il ricorso agli psicofarmaci, in particolare alle benzodiazepine: la Società italiana di Psichiatria ha registrato un aumento del 35 per cento di ansiolitici e ipnotici e un incremento del 28,2 per cento degli antidepressivi nei centri regionali di prenotazione di farmaci. È salito anche il ricorso a psicologi e psicoterapeuti, come ha rilevato la fondazione Soleterre che ha creato uno sportello d’aiuto nazionale gratuito con 578 esperti. Non ultimo, i dipartimenti di salute mentale si attendono nei prossimi mesi un’onda d’urto con 300mila diagnosi di depressione in più anche per gli effetti della crisi economica.

Mantenere viva la speranza

«La verità è che tutto è successo all’improvviso, il virus ha sconvolto il mondo intero e, in un attimo, ci ha tolto la libertà. Tutto è cambiato, ci hanno detto di rimanere a casa e lì abbiamo scoperto quanto sia difficile convivere, resistere, mantenere viva la speranza» commenta lo psichiatra Paolo Crepet, autore di un libro su questa emergenza dal titolo emblematico, Vulnerabili (Mondadori). «Così ora viviamo in un perenne stand by destabilizzante tra annunci e divieti dove un giorno viene promesso un nuovo vaccino e il giorno dopo siamo in zona rossa».

Con il Coronavirus ci siamo scoperti tutti vulnerabili

Ripensare le nostre vite

Risultato: tra lo stigma dell’essere positivo e la paura per l’altro, visto come potenziale untore, stiamo perdendo man mano la nostra quotidianità di esseri umani fatta anche di baci e abbracci, di sguardi e spontaneità. «Gli effetti di questo trauma collettivo rischiano di trasformarci in futuro in una società algida. A forza di “no” l’uomo cambia» sentenzia ancora Crepet. «ll distanziamento fisico rischia di diventare emotivo e soprattutto sociale. Non vanno sottovalutate le tensioni che scaturiranno, ad esempio, con i negazionisti». Uno scenario dalle tinte oscure, insomma. Come nel romanzo distopico di George Orwell, 1984, che descrive, in buona parte, l’atmosfera che stiamo vivendo.

Come muoverci?

Aiuto. Come muoverci, allora? «Non c’è una soluzione, ci sono le soluzioni» prosegue Crepet. «Dobbiamo trovare nuove discontinuità nella vita di tutti i giorni. Mettere contro tendenze, immaginare possibili progetti. Personalmente ho imparato a chiacchierare visto che con il mio lavoro ascolto e basta. E ho iniziato a rivalutare i negozi di prossimità. Ripensare le città è un altro tema su cui scommettere». Non è banale. Parigi, ad esempio, si è svuotata del 17 per cento dei suoi abitanti, cioè di quasi 400mila persone, secondo uno studio per la Fondazione Jean Jaurès. Tutti in fuga verso la campagna.

Una veduta di New York. Ripensare le città è la scommessa del presente.

Piccole azioni ogni giorno

“La vita può essere capita solo all’indietro, ma va vissuta in avanti”, diceva il filosofo danese Kierkegaard. Una possibile strategia di sopravvivenza sono allora le piccole azioni da fare ogni giorno. Il New York Times in un articolo intitolato Peak anxiety, here are 10 ways to calm down (Ansia acuta, dieci modi per calmarsi) ha stilato un decalogo suggerendo la formula dei “tre minuti”. Tre minuti basterebbero, a quanto pare, per cambiare il mood di una giornata e mettere in movimento le dopamine, gli ormoni della motivazione. Alcune idee? Saltare, ballare, muoversi, interrompere quel che si stava facendo. Ma anche, all’opposto, prestare attenzione al respiro, fermarsi, meditare, fare yoga. O, semplicemente, portare a spasso il cane.

L’ex supermodel Cindy Crawford a passeggio con i suoi cani (Photo by Arthur Elgort/Conde Nast via Getty Images)

Scegliere come reagire

«Se non possiamo scegliere una situazione possiamo almeno scegliere come reagire» sottolinea Lucia Giovannini, coach, terapeuta e autrice del manuale Il permesso di essere felice (Roi Edizioni). «Non ha senso ripetersi che si starà meglio quando “finirà tutto”, bisogna vivere il momento per quello che è, e con gratitudine perché dietro ogni crisi c’è un’opportunità». Giovannini suggerisce di creare una routine stimolando proprio i quattro ormoni della felicità, come la dopamina, l’ossitocina, la serotonina e le endorfine.

L’importanza della dopamina

«La dopamina, ad esempio, ci ricompensa quando abbiamo realizzato qualcosa. Cominciamo a creare, allora, un meccanismo che ci faccia sentire bene per il semplice fatto di aver portato a termine un progetto. Come la lettura di un libro. L’ossitocina, invece, è l’ormone dell’amore e dell’empatia. Un’alternativa per mantenerla in circolo è guardarsi negli occhi e sorridersi, anche con una mascherina: questo semplice gesto ci permette di connetterci a un livello più profondo con le persone».

Smart working

Il diritto alla disconnessione

Un altro tema da cui ripartire è lo smart working. Una ricerca dell’associazione nazionale Risk manager ha “scoperto” che il 58 per cento bilancerebbe volentieri la settimana tra giornate in ufficio e lavoro da remoto. «Uno dei problemi da risolvere, però, è il diritto alla disconnessione» rivela la giornalista Simona Branchetti che ha appena realizzato un accurato libro-inchiesta, Donne!!! È arrivato lo smart working, opportunità o trappola? (edizioni Leima). «Il fatto di essere sempre “on” ci fa perdere la cognizione del tempo». Spia ne è che il 40 per cento delle persone che lavora da casa ha riscontrato mal di schiena, mal di testa, affaticamento degli occhi e difficoltà a dormire, secondo una ricerca di AssoSalute.

Le regole da seguire contro lo stress da pandemia

«Fino a oggi abbiamo fatto in realtà extreme working» aggiunge Francesca Maria Montemagno, co-founder di Smartive, start up per la diffusione della cultura digitale. «Non dico e non voglio un futuro fatto di riunioni on line. Siamo esseri umani, ci nutriamo di relazioni e di esperienze. Ma possiamo trovare il giusto bilanciamento cambiando la cultura aziendale». Come proteggersi, intanto? «Il mio consiglio è quello di definire una tabella di marcia e il proprio spazio logistico» conclude Branchetti. «La pausa caffè e l’attività fisica “post ufficio”. Senza dimenticarsi che smart working non significa isolamento, si può anche chiacchierare e scherzare con i colleghi a distanza».

iO Donna ©RIPRODUZIONE RISERVATA