14 novembre 2020 - 20:26

Nel «limbo» del dopo-tampone, l’ansia in attesa del risultato

Dover aspettare molti giorni l’esito del test o la fine della quarantena provoca una nuova forma di disagio. In crescita anche la “Sindrome da accerchiamento” che fa sentire schiacciati tra il timore del virus e le misure prese per arginarlo

di Elena Meli

Nel «limbo» del dopo-tampone, l'ansia in attesa del risultato Getty Images
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Non è facile stare fra «color che son sospesi», come Virgilio definiva il limbo nel secondo canto dell’Inferno di Dante. Oggi vive quell’incertezza chi è costretto a passare ore, ma sempre più spesso giorni, in attesa di fare il tampone o di conoscerne il risultato per sapere se è stato contagiato da Sars-Cov-2; oppure chi è stato infettato e non ha più sintomi ma continua a risultare positivo al test molecolare (si stima possa capitare a uno su cinque); o ancora chi aspetta che scadano i termini della quarantena o dell’isolamento fiduciario. Vite sospese che non sono una passeggiata perché, come spiegano gli esperti della Società Italiana di Psichiatria, si sta diffondendo infatti un’ansia «da limbo» che non è più quella generalizzata della prima parte dell’emergenza, in cui si affrontava l’ignoto e uno choc collettivo: ora l’ansia è specifica, da «sospensione del tempo» appunto, e aumenta il malessere psichico favorendo difficoltà di concentrazione, senso di spaesamento, disturbi del sonno.


Ansia anticipatoria

«Quando si ha una malattia le fasi di attesa, per esempio dell’esame da fare, del referto, della terapia, provocano ansia anticipatoria», spiega Massimo Di Giannantonio, presidente Sip e docente di psichiatria all’università di Chieti-Pescara. «Nel caso di Covid-19 siamo di fronte a un contagio virale che desta preoccupazione e angoscia perché non ha un trattamento specifico e per tutto il clamore mediatico che suscita: la sospensione del tempo è percepita da chi aspetta il “giudizio” del tampone, di fare il test o la fine della quarantena come un’attesa alterata e dilatata, apparentemente infinita, che può essere vissuta in modi differenti a seconda della personalità. Alcuni la subiscono passivamente e l’attesa diventa allora una sorta di alibi per un atteggiamento rinunciatario, che però moltiplica i problemi; altri sono insofferenti, reagiscono in modo aggressivo o perfino violento; altri ancora tentano di non tenere conto delle limitazioni pagandone le conseguenze, anche legali». In chi già ha sintomi di depressione o ansia, purtroppo sempre più diffusi visto che si stima possano arrivare a riguardare una persona su tre a seguito della pandemia, l’effetto dello stare nel limbo è ancora peggiore come spiega Enrico Zanalda, co-presidente SIP e direttore del Dipartimento di Salute Mentale dell’Asl Torino 3: «L’intensità dell’ansia può crescere fino a indurre la “disperazione di Cassandra”, della profezia catastrofica: ci si convince di essere condannati e la ruminazione di fantasie negative può perfino portare, in casi estremi, a comportamenti disperati. L’ansia anticipatoria può riguardare il 5 per cento di chi attende un referto, nel caso del Covid temiamo sia molto più frequente. Dopo il lockdown abbiamo registrato un aumento delle diagnosi di disturbo post-traumatico da stress, ora dobbiamo imparare a gestire il benessere psichico in una fase che ci costringe a numerose attese, anche del futuro vaccino; l’antidoto migliore è sentirsi impegnati in un progetto collettivo, come la protezione personale e altrui, attraverso il rigoroso rispetto delle norme sanitarie che ci consente di guardare al futuro».


Rabbia e malessere sociale

Oltre all’ansia da limbo, questa nuova fase della pandemia di Covid-19 sta portando alla luce un altro disagio, la sindrome da accerchiamento: aumentano i contagi e le restrizioni, ma l’atteggiamento emotivo di molti non è più quello della scorsa primavera, quando ha prevalso la solidarietà. Ci si sente accerchiati dal virus e dalle misure per contenerlo, dai numeri della pandemia e dalla paura che gli ospedali si saturino e anche per questo, come osserva il co-presidente Sip Enrico Zanalda, «Oggi si è meno disposti a tollerare incompetenze e incapacità gestionale; inoltre c’è un elemento di incertezza ulteriore, perché non si sa come potrà essere il futuro, quanto e come si protrarranno le restrizioni. Se ci fossero tempi e modalità certe, si sarebbe disposti ad accettarle meglio. La prima esperienza del lockdown dal punto di vista della coesione sociale è stata positiva, è stata tollerata, ma si pensava conclusa», osserva lo psichiatra. «La seconda ondata era attesa e a molti fa rabbia che non sia stato apparentemente fatto nulla per impedire che i contagi riprendessero e accelerassero». Il malessere sta crescendo e secondo Zanalda chi potrebbe andare incontro ad ansia, episodi di rabbia o disagio psichico è soprattutto «Chi non ha un lavoro fisso e ha meno di quarant’anni: queste persone, se non hanno un minimo di tutela, sono più esposte a un’esasperazione pericolosa. Altrettanto a rischio i giovani, più colpiti dalle restrizioni ma meno dalla malattia: per loro è difficile rinunciare a vivere la socialità, il malessere è più probabile».

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