ABBIAMO AVUTO, e abbiamo ancora, l'ansia da contagio, quando nelle prime fasi della pandemia i dipartimenti di salute mentale hanno visto aumentare di un terzo le richieste di aiuto, trecentomila persone circa che si sono aggiunte alle novecentomila già presenti. Poi è arrivata l’ansia da reclusione, durante il lockdown, seguita dalla sindrome della capanna, percepita da coloro che, dopo mesi di casa, non erano più in grado di riprendere una vita normale all’esterno, un milione circa di persone. Ma oggi, quello che preoccupa la Società italiana di psichiatria (Sip) è una nuova forma di ansia, cosiddetta 'da limbo': una situazione di 'sospensione’, di 'stasi' che, nell'era del Covid, sta cominciando ad abbracciare un numero elevato di persone. L'ansia da limbo C'è chi aspetta di fare il test e chi freme per avere il risultato, chi è malato e vive da mesi un’alternanza sfiancante di alti e bassi, chi conta i giorni della quarantena o dell’isolamento fiduciario. L’ansia da limbo è un disagio che si inquadra tra gli effetti psichici indiretti del Covid-19 ma non è un’ansia generalizzata, bensì specifica che nasce dalla sospensione della propria vita. È uno spicchio separato della più conosciuta ansia 'anticipatoria', collegata alla singola malattia: l'attesa del referto, delle indagini successive, della terapia. Ma assume forme diverse a causa del clamore mediatico, della mancanza di un trattamento specifico per affrontare il Covid, dell’assenza di un vaccino. L’ansia da limbo porta a una sospensione più dilatata del tempo, a reazioni emotive che sfociano nella rinuncia o nell’aggressività. Nel primo caso, il ‘non agire’ può condurre alla depressione, nel secondo caso a reazioni di insofferenza, come violare le regole, la quarantena, fino ad arrivare a forme più violente. Chi ne soffre ha disturbi del sonno, di concentrazione, avvertire una sensazione di costante spaesamento. La testimonianza Come ci si sente ce lo racconta Guido (nome di fantasia), sessant’anni, agente di commercio. Ritornato da una gita, nel mese di marzo, si è sentito male, con febbre molto alta, ed è andato in ospedale. Il ricovero è durato un giorno, la diagnosi è stata broncopolmonite, con richiesta di 15 giorni di isolamento fiduciario. “La mia vita da quel giorno è cambiata – racconta Guido - è come sospesa, in tutti i campi, dalle amicizie al lavoro”. “Ci sono giornate che non riesco ad alzarmi dalla sedia e avrei solo voglia di dormire. Nessuno stimolo, mi sento solo scarico, come se non fossi io”. Sono passati ormai quasi otto mesi e Guido si sforza di reagire: i figli lo hanno coinvolto nelle partite di pallone, lui si impone di frequentare gli amici, di uscire: “ma ancora mi sento a disagio, quasi fossi fuori dalla realtà”. Ecco il senso di spaesamento che sta diventando leitmotiv di questo tipo di ansia. E che sgomenta. Cosa fare Sono molte oggi le diagnosi di disturbo post traumatico da stress e, fatta eccezione per i casi cronici, per cui serve lo specialista, gli psichiatri della Società italiana di psichiatria invitano per prima cosa a mettersi in relazione con il prossimo, condividere emozioni e preoccupazioni. Informarsi sempre su canali istituzionali, mantenere le proprie abitudini nel rispetto delle regole sanitarie, seguire un'alimentazione sana, fare esercizi di rilassamento, leggere e ascoltare musica. Gli strumenti social sono utili per scongiurare isolamento o solitudine, ma alla base di tutto un progetto collettivo, come la prevenzione personale e altrui, potrebbe essere l’antidoto giusto.