13 ottobre 2020 - 20:24

Depressione, non va confusa con la tristezza (e servono terapie adeguate)

Troppe persone non la affrontano per paura dei farmaci e del disagio sociale e l’arrivo del Covid ha aumentato le insicurezze favorendo i disturbi dell’umore

di Alice Vigna

Depressione, non va confusa con la tristezza (e servono terapie adeguate)
shadow

«Perché non provi a uscire? Prova a reagire. Dai, tirati su». Parole pensate per risollevare chi ha l’umore a terra, che magari possono funzionare per chi sta attraversando un momento di normale tristezza per una difficoltà personale, come la fine di una relazione o un problema sul lavoro. Sono però parole sbagliate, inopportune e perfino pericolose se chi abbiamo di fronte non è solo triste o sfiduciato ma soffre di depressione, come sottolinea la nuova campagna di informazione La depressione non si sconfigge a parole: vengono pronunciate in buona fede, certo, ma contribuiscono al perpetuarsi dell’idea che questa non sia una malattia ma uno stato d’animo. «La depressione è ancora sottovalutata ma non è un difetto, un vizio, un tratto del carattere: è una malattia in cui ci sono ben precise cause biochimiche, associate spesso a tratti genetici o caratteriali di predisposizione», osserva Ovidio Brignoli, vicepresidente della Società Italiana di Medicina Generale e delle Cure Primarie (Simg).

Serotonina

La carenza nel cervello del «neurotrasmettitore della felicità», la serotonina, non è insomma qualcosa che si possa derubricare a generica tristezza, ma uno squilibrio organico che poi si manifesta con sintomi da riconoscere presto e bene, come sottolinea Massimo di Giannantonio, presidente della Società Italiana di Psichiatria (Sip): «Oltre all’abbattimento del tono dell’umore la depressione si associa ad anedonia, ovvero alla perdita del piacere per la vita: il cibo, le relazioni sociali e familiari, le attività del tempo libero non sono più fonte di gioia, tutto il quotidiano sembra perdere senso. Ci sono poi anche sintomi cognitivi (come difficoltà di concentrazione, memoria e attenzione o incapacità di prendere decisioni, ndr) che devono far scattare il campanello d’allarme: la depressione mette il cervello sotto stress e ne pregiudica un corretto funzionamento. Capire che siamo di fronte a un episodio depressivo è fondamentale, perché più tempo passa fra l’esordio dei sintomi e la diagnosi con l’inizio di una terapia, più la malattia diventa grave e ad alto rischio di andare incontro a recidive, con ulteriori crisi depressive nei mesi e anni successivi».

Prima causa di disabilità

Se si sospetta di soffrire di depressione quindi non bisogna mettere la testa sotto la sabbia, anche perché si tratta della prima causa di disabilità nel mondo, stando all’Organizzazione Mondiale della Sanità: i malati soffrono moltissimo e le ripercussioni sulla vita attiva sono tante, per esempio ciascun paziente è costretto ad assentarsi dal lavoro in media 42 giorni all’anno, con costi sociali dovuti alle ore lavorative perse che solo in Italia ammontano a 4 miliardi di euro l’anno. Parlarne è indispensabile, in prima battuta con il medico di famiglia che poi può indirizzare verso lo specialista; purtroppo il percorso a ostacoli dei pazienti non finisce qui perché se da un lato la depressione è sottovalutata, dall’altro come tutte le patologie psichiatriche è oggetto di pregiudizi duri a scomparire.

Dipendenze

«I pazienti temono di essere etichettati come “pazzi” se vanno dallo psichiatra, così spesso anche dopo la diagnosi rifiutano la malattia per la vergogna, aspettano sperando che passi», interviene Andrea Fiorillo, presidente della Società di Psichiatria Sociale (Sips). «Senza contare la paura dei farmaci: gli antidepressivi sono ritenuti simili alle droghe, tanti pensano di diventare dipendenti o che alterino il funzionamento del cervello. Non è così, oggi abbiamo medicinali efficaci e ben tollerati, diversi per le varie forme di depressione, che dopo una corretta diagnosi devono essere impiegati con fiducia». «E senza smettere di prenderli appena si percepisce un miglioramento, dopo qualche settimana dall’inizio della cura», precisa Di Giannantonio. «L’abbandono dei farmaci impedisce che ci sia una reale risoluzione dell’episodio depressivo: c’è una remissione ma non una guarigione, che invece è possibile, e cresce così la probabilità di una nuova crisi». I numeri sono preoccupanti: le diverse forme di depressione colpiscono tre milioni di italiani, un milione deve vedersela con una depressione maggiore, particolarmente grave, e perfino in questi casi solo la metà dei pazienti ottiene una diagnosi e un trattamento adeguato.

Lo tsunami coronavirus

Come se non bastasse, la pandemia da Covid-19 ha le carte in regola per peggiorare la situazione: «Già da decenni però avevamo creato le condizioni perché i casi di depressione aumentassero», puntualizza Brignoli. «Le relazioni umane diventate sempre più virtuali, gli adolescenti deresponsabilizzati, la fretta e la pressione per i risultati sono tutti elementi che favorivano la comparsa di disturbi dell’umore anche prima del coronavirus». Che rischia di essere la classica goccia che fa traboccare il vaso, spingendo ancora più persone verso la depressione a causa dell’insicurezza sociale e lavorativa, della paura del contagio, dell’incertezza nei confronti del futuro. «I dati di una nostra ricerca su circa ventimila persone, che saranno pubblicati a fine ottobre, indicano che in questi mesi sono cresciuti del 30 per cento i sintomi di ansia e soprattutto del 40-50 per cento quelli depressivi: nel dopo-lockdown una persona su due sta manifestando segni di depressione», racconta Fiorillo. «Alle prime avvisaglie di disagio mentale occorre chiedere aiuto: la depressione va riconosciuta e combattuta, perché compromette il benessere generale favorendo stili di vita sbagliati, come abuso di sigarette o alcol e sedentarietà, che a loro volta facilitano la comparsa di altre patologie. Non c’è salute, senza la salute mentale».

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT